La democrazia in versione Svizzera: un esempio per l’Est Europa
Chisinau (Moldavia) – Si parla di democrazia e in molti pensano subito alla democrazia di stampo anglosassone, quella inglese e quella statunitense innanzitutto. Ma stiamo parlando di sistemi che danno solo una possibile declinazione del tema. Una declinazione che mostra anche qualche pecca. L’anno prossimo si eleggerà il nuovo Presidente degli Stati Uniti ed è probabile che i due contendenti saranno un Bush ed una Clinton, cioè due congiunti molto stretti di altrettanti ex-presidenti. Anzi, in un caso si tratterebbe del terzo della stessa famiglia, dopo padre e fratello. Se qualche cosa del genere succedesse in qualche anonimo stato africano, probabilmente scuoteremmo la testa come a dire: “non c’è speranza di insegnare loro la democrazia”!
Ma quello americano è solo uno dei modelli possibili.
Sono stato invitato a prendere parte ad un programma del Consiglio d’Europa che ha l’obiettivo di rafforzare la democrazia locale nei paesi dell’Est Europa, in particolare Ucraina, Moldavia, Georgia, Armenia e Azerbaijan. Il mio compito è di moderare alcuni workshop che coinvolgono Sindaci locali. In questi workshop cerco di far capire alcuni principi fondamentali del modello svizzero di democrazia, perchè sono convinto che possano essere davvero d’ispirazione per chi sta compiendo una difficile transizione verso un sistema sociale più libero, più florido economicamente e più giusto.
Tra gli altri c’è in particolare un aspetto che spero di riuscire a far capire. E’ un aspetto che, a mio parere, dovrebbe rappresentare il principale criterio con cui valutare se il sistema politico-amministrativo sta dando buona prova di sè o ha bisogno di manutenzione. Dovrebbe anche essere il principale criterio per valutare se l’azione di chi ha responsabilità di governo è puntata nella direzione giusta.
I cittadini sentono su di sé la responsabilità delle decisioni collettive? I cittadini sono pronti a sacrificare un proprio beneficio individuale immediato in cambio di un beneficio collettivo di più ampio respiro?
Per fare capire che cosa intendo, porto agli ascoltatori l’esempio del referendum che si è tenuto nel 2012 e che proponeva di elevare da 4 a 6 settimane il periodo minimo di vacanza annuale. Al di là del merito del referendum e delle motivazioni per il “Sì” e per il “No”, è significativo e all’apparenza stupefacente che i votanti abbiano consapevolmente deciso di rinunciare ad un beneficio individuale immediato (l’aumento delle vacanze) perchè lo hanno ritenuto lesivo di un bene pubblico, quale è stata considerata la competitività del sistema economico.
Proprio questa capacità di sacrificare un beneficio individuale immediato in cambio di un bene pubblico di più ampio respiro era ritenuta dal Romagnosi (1761-1835) ciò che distingueva un individuo da un cittadino e, in ultima analisi, la prova del “incivilimento” di una comunità. Ma questa capacità non può essere che il frutto un sistema di valori, consolidato attraverso le esperienze quotidiane dei membri della comunità. E le regole che definiscono il modo in cui le decisioni collettive vengono prese determinano l’esperienza dei cittadini nei confronti della res publica, mettendo in evidenza chi in ultima analisi deve essere ritenuto responsabile delle conseguenze di tali scelte. Nel sistema svizzero, il messaggio è molto chiaro: delle decisioni che riguardano la collettività ogni cittadino è da ritenersi responsabile.
Questa esperienza quotidiana di res publica non può che cominciare dal Comune. Come diceva Romagnosi, è nel Comune che l’individuo ha la possibilità di diventare cittadino.Gli istituti del referendum e dell’iniziativa popolare, così come il principio di collegialità che presiede i lavori di un organo esecutivo, il Municipio, che, caso più unico che raro, è composto da rappresentanti di più partiti grazie ad un sistema di voto proporzionale influenzano il modo in cui le persone guardano alle decisioni collettive.
Certamente non è facile per persone che hanno vissuto l’esperienza dell’URSS e che, in alcuni casi, sentono ancora molto forte l’influenza culturale della Russia e del concetto di “leadership politica” che si sperimenta da quelle parti immaginare la figura del leader come qualche cosa di diverso di un “padre buono e forte”.
Però la voglia di cambiare sta crescendo, così come l’intolleranza verso sistemi di potere, sia politico che economico, oligarchici. E vedere che un piccolo paese come la Svizzera, con un territorio prevalentemente montuoso, senza giacimenti di petrolio, senza leader ingombranti gode di un PIL pro capite di tutto rispetto ed è nei primi posti delle classifiche di competitività e benessere, accende l’attenzione degli ascoltatori.
Come sempre, poi, il beneficio non è solo per chi ascolta, ma anche (o forse soprattutto) per chi spiega. Confrontare quello che sta accadendo in questi paesi con quello che succede all’interno della Svizzera e del Ticino è sempre uno stimolo per farsi delle domande, per trovare punti di vista nuovi. Si va per spiegare il proprio modello e si torna con una idea più precisa delle opportunità e delle minacce che il proprio modello può e deve affrontare. Ma questa è un’altra storia