Aristotele

Per gli ateniesi, Aristotele era uno straniero. Era, infatti, un macedone, inviato dal padre ad Atene per motivi di studio. E’ qui che entra in contatto con Platone, di cui diventa discepolo. Ma quella passione per lo studio (e per l’insegnamento) non lo lascerà più. Tornerà, certo, anche in Macedonia, ma per divenire il tutore del figlio del re Filippo, Alessandro. Quell’Alessandro il Grande che fa parlare ancora oggi per le sue straordinarie conquiste.

Il suo interesse scientifico si è concentrato soprattutto sui regimi di governo delle città. Si può dire che abbia condotto il primo studio comparativo delle istituzioni politiche, andando a confrontare le costituzioni (intese come le strutture e le regole di governo) di oltre cento città-stato greche del tempo.

E’ a lui che si deve la sistematizzazione dottrinale delle tipologie di regimi di governo: è lui, infatti, a parlare di monarchia, aristocrazia e politica, ma anche di tirannide, oligarchia e democrazia.

Nell’ottica di Aristotele un “regime” è la soluzione che una città si dà per regolare i propri organi di governo. E’ il regime che definisce come devono essere distribuiti i poteri, chi può controllare i segni dell’autorità, quali sono le finalità e gli obiettivi della comunità organizzata. Secondo Aristotele, il miglior regime è quello che riesce ad assicurare ai propri cittadini la pace e il tempo libero necessario a migliorarsi attraverso l’educazione e la formazione.

Ritorna, in questo caso, uno dei temi forti anche di Platone. Nell’uomo c’è una continua tensione tra la parte razionale e la parte istintiva. Lo sviluppo dell’uomo è legato alla progressiva capacità di autocontrollo esercitata dalla parte razionale sulla parte istintiva. L’autocontrollo, dimostrato nei modi di pensare, di agire, ma anche nella postura, nei gesti quotidiani, nel tono di voce, è l’eccellenza a cui ciascun uomo dovrebbe tendere. D’altro canto, chi non sviluppa il proprio autocontrollo è destinato a diventare uno schiavo.

La città ha proprio il compito di aiutare l’individuo a perseguire questa eccellenza e chi ritiene di non aver bisogno della città o è un dio o è una bestia.

Per Aristotele, l’uomo è un animale politico per natura e la città è la naturale manifestazione di questa sua caratteristica. La città non è una costruzione umana, ma la forma evolutiva naturale del modo di vivere umano. Le tappe evolutive che portano ad essa sono la famiglia, la tribù, il villaggio. A differenza di altri autori, (i “contrattualisti” come Hobbes, Locke, …) Aristotele non ritiene che l’evoluzione umana abbia fatto un salto di qualità quando, per uscire da uno stato di natura “bestiale” precedente, gli uomini si sono organizzati in comunità  attraverso una qualche sorta di contratto. L’uomo è sempre stato parte di una società, in quanto organica alla sua natura sociale (organicismo).

La dimostrazione che l’uomo è un’animale sociale sta nel fatto che è dotato di linguaggio e di ragione (logos). Ma che cosa tiene insieme i membri di una città?

Secondo Aristotele, la città non è una semplice concentrazione geografica di individui e non è nemmeno una forma di autodifesa o un modo per incrementare la ricchezza dei singoli attraverso i commerci. La città non è frutto del caso o di una somma di scelte utilitaristiche. Alla base, invece, ci sono legami sociali di fratellanza, di cameratismo, di fiducia reciproca fondati su esperienze e ricordi comuni. I legami che uniscono i cittadini sono simili a quelli che uniscono i fratelli. Possono anche litigare duramente, ma sanno di avere una radice unica che li accomuna. In fondo, proprio questi legami di fratellanza, cameratismo e fiducia sono gli stessi che oggi noi definiamo come “capitale sociale” di una comunità.

Se tali legami costituiscono la sostanza della città, il regime ne rappresenta la forma, il modo in cui la città si manifesta nella concreta condizione storica.

Come detto, Aristotele arriva a definire una tipologia di regimi. Il criterio di classificazione è innanzitutto rappresentato dal numero di persone a cui viene affidato il potere politico: uno , monarchia; pochi, aristocrazia; tutti, politica. Questi tre tipi di regimi rappresentano le tre forme “corrette” di regime. Essi, però, possono degenerare in altrettante forme degenerate: tirannide, oligarchia e democrazia.

Che cosa distingue le forme corrette dalle degenerate? Secondo Aristotele la differenza la fa la prospettiva in base alla quale i governanti svolgono la propria azione. Fino a quando l’azione di governo è orientata all’intera comunità cittadina, a tutti gli strati della popolazione sia alti che bassi, il regime assume una delle forme “corrette”. Se, invece, i governanti orientano la loro azione di governo al perseguimento dei soli loro interessi, ecco che si manifesta la degenerazione.

Le istituzioni e le leggi devono in ogni caso assicurare l’unitarietà della città e il superamento delle fazioni interne. Se ciò non succede, significa che le istituzioni e le leggi stanno tradendo la loro stessa ragion d’essere.

Insomma, alcuni dei principi della teoria politica aristotelica possono essere di attualità ancora oggi. Si è detto del concetto di capitale sociale che ancora oggi viene considerato uno degli ingredienti fondamentali per uno sviluppo locale efficace. Ma è interessante anche la prospettiva di Aristotele rispetto al rapporto tra il singolo e la comunità: la città non è uno strumento per perseguire interessi individuali, per difendersi o per acquisire maggiori ricchezze. La città è la forma naturale attraverso cui l’uomo sviluppa la sua umanità, nella forma del prevalere della ragione sull’istinto. Un essere umano realizza pienamente se stesso all’interno di un sistema di relazioni umane fondate su valori, esperienze e tradizioni profonde che prendono la forma di istituzioni politiche e leggi volte a preservare il contesto cittadino e a renderlo adeguato all’uomo. A ogni uomo.

Leave a Reply