La democrazia? Solo l’empatia la può salvare
Democrazia è quando ogni cittadino sente la responsabilità di farsi carico della cosa pubblica. Oggi, però, sempre meno cittadini sono disponibili a farlo nella forma di un impegno diretto nella politica, magari comunale: “Candidarmi io? No grazie!”
La difficoltà a trovare persone disponibili a candidarsi, per spirito di servizio e non per carrierismo, è una minaccia alla tenuta dei sistemi democratici. Lo si vede soprattutto nei comuni medio- piccoli, dove fare politica più difficilmente porta con sé visibilità, opportunità di allacciare contatti utili per la propria carriera personale o gettoni di presenza che facciano la differenza rispetto alle entrate famigliari.
E’ allora opportuno chiedersi quali siano le cause di questa fuga dalle responsabilità democratiche. Si può ben immaginare che siano più di una. Una di esse, però, potrebbe essere la paura di essere bersagli di critiche ingiuste, magari superficiali. Sentenze di condanna nel giudizio sociale, difficili da accettare per chi ci guadagna solo un senso di soddisfazione per avere fatto il proprio dovere. Difficili da accettare anche perché sommarie: non tengono conto delle effettive condizioni in cui certe scelte sono state prese o certe azioni sono state portate avanti.
Un vecchio adagio dice: “Solo chi non fa, non sbaglia”. Ma oggi, sono sempre meno quelli che fanno perhè prevale la paura di essere accusati di avere sbagliato. Ma se nessuno fa, abbiamo un problema.
Sono forse le persone ad essere più permalose e suscettibili che nel passato? Forse.
D’altro canto, non possiamo negare che siamo costantemente allenati a criticare, piuttosto che a fare. Pensate a quante volte in una settimana siamo chiamati a esprimere un giudizio di soddisfazione, a dare un like, a scrivere una recensione. Nell’economia di oggi siamo molto funzionali come osservatori critici. Siamo diventati bravissimi a cogliere quello che non va in una serie infinita di esperienze di vita: dall’andare al ristorante, al frequentare un corso universitario, dal guardare la foto di un amico al commentare una notizia.
Questo allenamento continuo ci fa pretendere standard qualitativi sempre più elevati. Ma ci fa anche sottovalutare le fatiche di chi, quegli standard, li deve poi raggiungere. Insomma, questa “trance agonistica da recensione” minaccia la nostra capacità di empatia.
Certo, per rinforzare l’empatia aiuterebbe molto il provare a fare in prima persona. E’ facendo che si capisce meglio che cosa vuol dire fare. Se questa esperienza diretta del fare viene meno, aumenta il divario tra chi fa e chi critica: diventano due mondi incapaci di ascoltarsi e di capirsi.
Nella realtà politica si sta assistendo a questo: ad una selezione avversa secondo cui sempre meno persone sono disposte a fare perché non sono disposte ad essere oggetto di critiche facili, per di più per un ruolo di servizio e di volontariato. Si ingrossano le fila dei recensori e si assottigliano quelle dei fautori: con questa distribuzione di pesi, però, la barca rischia di rovesciarsi.
Non resta che chiedersi: come fare per allenare l’empatia nella vita politica?