Il crescente peso della X nel management pubblico
Per chi opera a stretto contatto con app, progetti digitali e simili, la X ha un significato chiaro. UX, ad esempio, sta per User Experience (termine attribuito a Donald Norman) e richiama l’attenzione ad anticipare l’uso che farà l’utente finale dell’app o del sito che si sta sviluppando. Si tratta di mettere l’utente al centro e analizzare tutte le condizioni che influenzeranno la sua esperienza con il prodotto, dai bisogni che vuole soddisfare, alle sensazioni che esso provoca, fino ad anticiparne i comportamenti.
Il riferimento all’experience, invece che al semplice “use” sottolinea il fatto che a contare non è solo l’usabilità, la facilità d’uso, dell’interfaccia. Contano anche gli aspetti cognitivi ed emotivi, determinanti per capire se quell’app avrà successo oppure no.
Le analisi della user experience fanno parte del più ampio percorso di progettazione. Un percorso che deve portare i progettisti a pensare “out of the box”, cioè fuori dalle loro convinzioni e dai loro pre-giudizi. Questa è la filosofia del design thinking, che suggerisce metodi e tecniche utili a comporre un processo di progettazione che, ponendo l’essere umano al centro, stimoli soluzioni creative e innovative ai problemi.
Molte agenzie attive sul fronte della trasformazione digitale delle amministrazioni pubbliche hanno messo a disposizione manuali con le principali tecniche per mettere in pratica lo user experience design. Si può segnalare come riferimento la raccolta di strumenti promossa dall’Osservatorio sull’innovazione nel settore pubblico dell’OCSE. Ad esempio, il governo del Queensland (Australia) ha messo a disposizione delle proprie strutture una raccolta di tecniche per diffondere la pratica del human-centred design in ambito pubblico.
Per le amministrazioni pubbliche, il passo è stato breve nell’affiancare alla X non più semplicemente la U di “user”, ma la C di “citizen”. I metodi del design thinking possono essere molto utili a trainare una generale trasformazione delle amministrazioni pubbliche per renderle più focalizzate sui destinatari dei loro servizi. Una trasformazione che certamente riguarda il “digitale”, ma può andare anche più in profondità, nella cultura amministrativa dell’istituzione.
La CX si applica innanzitutto ai servizi digitali, ma sarebbe un peccato fermarsi qui.
Più interessante, ad esempio, è l’applicazione al più ampio campo delle politiche. A maggior ragione se, come facciamo noi, intendiamo le politiche come sistemi di attività (regolamentazioni, incentivi, servizi, comunicazioni, ecc.) funzionali a promuovere un cambio di comportamenti tra uno specifico gruppo di soggetti, la CX è determinante per la loro efficacia e, non da sottovalutare, per un uso più selettivo delle risorse.
Ad esempio, perché non affrontare il tema della partecipazione attiva alla vita politica con la prospettiva del citizens experience design? Sarebbe un modo efficace per affrontare la questione superando molti pregiudizi negativi su chi fa politica. Uno degli aspetti fondamentali del design thinking, infatti, è proprio l’empatia con i soggetti presi in considerazione. Affrontare il problema attraverso le lenti della citizen experience aiuterebbe sicuramente a pensare “out of the box”.
Allargherei il ragionamento anche al fondamento stesso della citizenship. Che significato ha per i membri della comunità essere “cittadini”? Che cosa li fa sentire tali? Quali condizioni favoriscono esperienze positive che rafforzano il senso di appartenenza e di responsabilità verso la comunità di cui si è parte?
Il discorso, quindi, va ben al di là di mere considerazioni tecniche. E rende ancora di più la trasformazione digitale un’occasione da cogliere.