Democrazia e governo dei “migliori”: la difficile sintesi
Nel suo “La società aperta e i suoi nemici” Karl Popper suggerisce che un sistema istituzionale dovrebbe essere disegnato partendo dall’assunto che non saranno necessariamente i più capaci a ricoprire le cariche pubbliche. Per questo, esso dovrebbe prevedere meccanismi efficaci per far sì che, comunque, gli effetti degli errori non siano troppo gravi.
Suggerimento ragionevole e pragmatico. Suggerimento particolarmente utile per i sistemi democratici, per i quali la “rappresentanza” è un valore altrettanto se non più rilevante della “competenza”. Ad ogni cittadino devono essere garantiti l’elettorato attivo e passivo e condizionarli ad una qualche regola, diversa da legittimi meccanismi elettorali, sarebbe quanto meno discutibile.
Già nella democrazia ateniese il problema si poneva. A maggior ragione perché il principio democratico si declinava addirittura attraverso il sorteggio tra i cittadini su chi dovesse occupare una certa carica. L’elezione, come meccanismo di selezione alternativo al sorteggio, rappresentava un’eccezione, dettata proprio dalla necessità di tenere conto anche della competenza dei candidati. Si eleggevano, infatti, coloro che avrebbero dovuto ricoprire magistrature “tecniche”, in ambito militare e finanziario.
Il sorteggio prevedeva che ci fosse innanzitutto un sondaggio di disponibilità: tutti i cittadini che fossero interessati a ricoprire cariche pubbliche potevano farsi avanti. Tra loro venivano poi sorteggiati coloro che sarebbero divenuti magistrati e, sempre in maniera casuale, sarebbe stata attribuita la rispettiva magistratura.
Vi erano evidenti vantaggi. Innanzitutto, si assicurava ancora meglio che attraverso le elezioni che ogni cittadino potesse essere “governante” e non solo “governato”. Da ciò derivava la maggiore identificazione di tutti i cittadini, e non solo delle élite, con i poteri pubblici e con le responsabilità ad essi collegate. Ci si sentiva ancora di più cittadini, consapevoli della responsabilità e non solo dei diritti che tale status implicava.
D’altro canto, non si dovevano nemmeno sottovalutare i rischi. In un sistema del genere, non c’erano filtri selettivi che scremassero gli incompetenti o gli approfittatori. Tra le contromisure, vi era la durata limitata delle cariche (accorgimento ripreso anche dai romani), per cui i mandati dei magistrati duravano al massimo un anno e, salvo rare eccezioni, la carica poteva essere ricoperta solo una volta nella vita. Alla fine del mandato, occorreva rendere conto del proprio operato e rispondere personalmente di eventuali manchevolezze. Inoltre, la suddivisione dei compiti politico-amministrativi su una pluralità di magistrature faceva sì che ogni magistrato avesse
responsabilità limitate ad uno specifico ambito.
Si pose anche allora il tema della remunerazione. Mandati unicamente onorifici rischiavano da un lato di escludere chi non potesse permettersi di prestare un servizio per un anno intero senza poter contare su proprie rendite, dall’altro di stimolare la ricerca di altre forme di “compensazione” del proprio impegno. Su un problema simile si dovettero misurare i romani, quando emersero le prime accuse da parte delle province rispetto alle pratiche predatorie dei proconsoli, che cercavano in questo modo di ripagarsi i costi sostenuti per il loro cursus honorum. D’altro canto, quando si stabilì una remunerazione per le cariche pubbliche non mancò chi sollevò il problema della selezione avversa: si rendevano disponibili a ricoprirle quei cittadini che non potevano che contare su questi introiti per campare, quindi non certo i “migliori”.
Tematiche che non si può dire non abbiano una loro attualità oggi. Innanzitutto, quel senso di co-responsabilità verso il governo collettivo, tenuto vivo ad Atene anche grazie al sistema del sorteggio, sarebbe da rinforzare anche oggi. Recentemente, si sono sperimentate forme di partecipazione che hanno ripreso proprio meccanismi di sorteggio[1], anche se per compiti meramente consultivi e non di vero potere decisionale.
Se pensiamo alla partecipazione attiva nelle istituzioni locali, tipicamente le prime palestre di politica per molti cittadini, il dilemma tra “rappresentanza” e “competenza” invita a riflettere su quanto i sistemi istituzionali attuali siano adatti a promuovere un equilibrio soddisfacente.
Un comune cittadino che non abbia la minima conoscenza del diritto amministrativo, delle regole di funzionamento delle istituzioni, ma anche delle norme di settore rispetto alle deleghe amministrative che gli sono affidate può sentirsi a suo agio ad assolvere una carica pubblica? O forse la stessa complessità scoraggia la partecipazione? O magari la rende solo “di facciata”, perché le decisioni in realtà sono mere ratifiche di opzioni prestabilite, senza margini effettivi di discrezionalità?
Se si seguisse la logica del “governo dei migliori”, dovremmo ammettere che sarebbero veramente pochi i cittadini che avrebbero le competenze tecnico-amministrative sufficienti per assumere pienamente il loro ruolo, senza correre il rischio di essere manipolati dagli specialisti. D’altro lato, però, agli organi elettivi spesso si chiede di prendere decisioni meramente tecniche, con l’obiettivo di sgravare di responsabilità chi avrebbe le effettive competenze per prendere quel tipo di decisioni. È l’effetto “paravento”: chi decide davvero rimane nell’ombra. La crescente complessità di procedure e norme, in parte anche dovuta proprio al suggerimento di Popper presentato all’inizio, ha finito per ridurre e di molto gli ambiti di scelta politica, intesi come quelli in cui si confrontano valori e principi, piuttosto che questioni tecnico-legali.
Quel suggerimento andrebbe forse meglio contestualizzato: 1) è bene che pensando ai sistemi istituzionali si prendano a riferimento tipi di persone reali che sarebbero chiamate ad animarli, invece che rifarsi a figure mitologiche non presenti in natura; 2) è altrettanto importante che nel porre paletti per limitare i rischi, non si esaurisca l’effettivo spazio decisionale, tanto da rendere inutile il decisore; 3) non sono da sottovalutare nemmeno le dinamiche della “profezia che si autoavvera”, per cui a forza di premunirsi contro il caso in cui a governare fossero i peggiori, ci si ritrovi ad avere proprio quelli come governanti.
[1] Si pensi alla riforma 2021 della legge organica del Conseil Économique Sociale et Environnemental francese che ha formalmente previsto la possibilità di condurre consultazioni con cittadini selezionati tramite sorteggio o le esperienze di nuovi metodi consultivi, come il progetto Demoscan dell’Università di Ginevra.