Una lettura comportamentista della funzione politica
Tra le tante piste di riflessione che possono condurre a rispondere a queste due domande, mi incuriosisce quella forse irrituale, forse banale, che passa dall’esperienza di chi dovrebbe conoscere meglio la funzione politica: il politico comunale.
Ad esempio, che cosa si immagina di fare un neo–Municipale appena dopo aver ricevuto la notizia di essere stato eletto? Mi immagino un: “Adesso, che si fa?”
E’ l’ora di passare all’azione, di tradurre in pratica quei programmi e quei progetti presentati in campagna elettorale. Questa immagino che sia anche l’interpretazione che si dà della funzione politica: realizzare politiche, anche se rimane da chiarire che cosa si intende per “politiche”.
E’ lecito pensare che i programmi e i progetti presentati in campagna elettorale siano stati, almeno in parte, ispirati anche dal desiderio di suscitare l’interesse, l’approvazione e il voto da parte degli elettori, senza badare troppo alla loro fattibilità tecnica.
Quando si entra in Municipio, la valutazione della fattibilità tecnica non è più aggirabile. Ad esempio, occorre verificare “quanto costano” e, prima ancora, se rientrano negli spazi dell’autonomia comunale. Poi bisogna trovare il consenso degli altri municipali e del consiglio comunale.
A questo punto, sorgono alcune domande.
La prima: di quali programmi e progetti si tratta? Quali sono i contenuti prevalenti? Saperlo ci aiuterebbe a capire che cosa si intende per “politica=policy” comunale, in particolare quale ne sia la definizione prevalente tra i politici comunali di oggi.
La seconda: rispetto a queste proposte, concretamente che cosa è chiamato a fare il Municipio? In altre parole, quale è l’attività centrale della funzione politica, la sua essenza, quella che si concretizza negli organi politici in senso stretto?
La funzione politica dal punto di vista del processo di decisione.
“prendere una decisione”?
L’ipotesi che si propone è che la decisione del Municipio (ma anche del CC) sia una decisione tra alternative. I municipali sono chiamati ad esprimersi su quale alternativa d’azione sia da
intraprendere. Certo, essi portano idee e proposte, ma alla fine ciò che davvero ha un effetto verso l’esterno è il “sì” o il “no” ad una certa alternativa.
Potrebbero essere gli stessi Municipali, ma a patto che abbiano sufficienti competenze tecniche. Se si conferma il principio della milizia, non si può dare per scontato che questo sia sempre il caso, anzi.
Se si vuole permettere a tutti di assumere una carica di municipale, bisogna partire dall’ipotesi più probabile che il municipale non sia, di regola, uno specialista. Ci vuole, dunque, uno specialista che faccia il lavoro di traduzione delle idee e delle proposte in progetti fattibili.
Viene subito da chiedersi se l’Amministrazione comunale possa svolgere questo ruolo. Viene da rispondere: “Non sempre.” o addirittura “Quasi mai.”, soprattutto quando si tratta di
un’amministrazione poco strutturata.
Rimangono gli esperti esterni: si può trattare di liberi professionisti, di società di consulenza o università, o magari potrebbe essere un ruolo che gli stessi partiti politici potrebbero essere interessati ad assumere. Ci si potrebbe immaginare che un partito faccia circolare tra i propri rappresentanti comunali progetti pre–confezionati o semi–lavorati da sottoporre direttamente ai rispettivi municipi e consigli comunali.
Sotto l’aspetto del processo decisionale, dunque, chiedersi come migliorare la capacità del Comune di assolvere la sua “funzione politica” vuol dire approfondire tre passaggi:
1. da dove vengono le idee e le proposte generiche, potremmo dire le priorità politiche che
prevalgono in un certo momento storico;
2. da dove vengono le alternative d’azione, cioè progetti con un sufficiente grado di
approfondimento e di verifica della fattibilità (si può trattare di studi di fattibilità, di progetti
in fase preliminare, definitiva o esecutiva)
3. come avviene la decisione tra alternative in un organo collegiale.
La funzione politica dal punto di vista del contenuto delle decisioni: “ambito di decisione” e “livello di decisione”.
Ritorniamo ora alla prima delle due domande da cui siamo partiti. Ci eravamo chiesti quale fosse il contenuto delle idee e delle proposte che vengono portate negli organi comunali e, a questo punto, potremmo anche specificare, quali alternative d’azione, quali progetti. Si tratta, insomma, di capire quali sono le decisioni tipiche, per contenuto, che il Municipio (e il consiglio comunale) è chiamato a prendere.
Sarebbe interessante rilevare quanto tempo delle sedute municipali è dedicato a discutere quali tipi di decisione.
Se guardiamo agli “ambiti di decisione”, l’impressione è che la maggior parte delle decisioni
riguardino costruzioni e manutenzioni di opere pubbliche, spesso a partire da segnalazioni di malfunzionamenti, insieme a licenze edilizie ed erogazione di contributi. Chiudono la tipologia delle decisioni “tipiche” quelle che hanno a che vedere con la definizione di regole.
L’impressione è che il Municipio svolga un ruolo molto vicino (seppur su una scala decisamente più grande) a quello del consiglio d’amministrazione di un condominio: decide le priorità di intervento rispetto alle manutenzioni (sopra una certa soglia formula la proposta all’assemblea condominiale), cura la ripartizione delle spese condominiali e delle quote di contribuzione al fondo di rinnovamento, propone le modifiche al regolamento condominiale o le regole di utilizzo degli spazi e dei servizi comuni (tipicamente, la lavanderia).
2. dei contributi finanziari;
3. dei servizi pubblici, prodotti direttamente (amministrazione comunale) o acquistati da fornitori terzi;
4. degli spazi fisici (territorio, ambiente costruito, stabili, ecc.).
Forse la quarta leva, quella degli spazi fisici, è quella che meglio connota il ruolo del comune nella “funzione politica”. Il comune controlla spesso, e forse “soprattutto”, le condizioni fisico–spaziali delle politiche pubbliche. Questo renderebbe comprensibile perché i municipi e i consigli comunali dedichino tanto tempo a decisioni che riguardano proprio condizioni fisico–spaziali.
Ovviamente, gli ambiti di decisione sono anche determinati dal quadro istituzionale, in particolare dai compiti che sono attribuiti all’autonomia e alla responsabilità comunale.
Accanto agli ambiti di decisione, è utile riflettere anche sul livello delle decisioni. Si ripete spesso che i municipi si concentrano troppo su questioni di dettaglio, operative, e non abbastanza sulle decisioni strategiche.
Se alcuni esempi significativi possono raccogliere grande consenso su che cosa sia una decisione operativa (ad esempio, come individuare una perdita nell’acquedotto), non è così facile trovare un criterio chiaro e condiviso utile a distinguere tra “decisioni strategiche” e “decisioni operative”. Si potrebbe considerare la durata temporale degli effetti delle decisioni: le decisioni strategiche sono quelle che, una volta prese, determinano effetti che durano nel tempo. La controprova che si tratti di una decisione “strategica” sta nel verificare quanto costerebbe (non solo finanziariamente) cambiarla in caso ci si rendesse conto che fosse sbagliata. Maggiore è il costo, maggiore è la strategicità.
Il posizionamento effettivo delle decisioni comunali rispetto alla scala compresa tra “operativa” e “strategica” dipende da molti fattori. Ad esempio, uno “esterno”, ancora una volta, è dato dagli spazi di autonomia decisionale lasciati al comune all’interno del quadro istituzionale. L’autonomia, infatti, si amplia o si restringe in base non solo alla numerosità di compiti affidati al comune, ma anche alla libertà di decisione lasciata per ciascun compito: mera esecuzione (decisioni operative) o possibilità di ideazione e pianificazione (decisioni strategiche)?
strategiche. Come detto si tratta di decisioni costose da cambiare, quindi implicano una grossa responsabilità sulle spalle del decisore, una responsabilità che non ci si assume a cuor leggero. Il carico di responsabilità dipende dal rischio di sbagliare, che è più alto perché gli effetti della decisione si esplicano in un futuro più lontano e quindi più difficile da prevedere. Per ridurre questo rischio, occorre aver maturato la capacità di essere lungimiranti, cioè di saper leggere i “segnali deboli” di oggi e saperne ricavare un’idea quanto più precisa di che cosa accadrà nel futuro. Si dice che questa capacità cresca con il livello delle competenze: apprendere significa aumentare la capacità di prevedere il futuro. Ne deriva che, per elevare il livello di strategicità delle decisioni comunali, ci vorrebbero persone più istruite.
Giusto chiedersi, allora, a) se sia davvero necessario cambiare il trend attuale o se valga la pena di adeguare le aspettative a quanto effettivamente accade nella realtà; b) nel caso si voglia cambiare, come concretamente portare i municipali (e i consiglieri comunali) ad assumere decisioni più strategiche.
a) il poter fare
b) il saper fare
c) il voler fare.
Rispetto alle condizioni che rendono possibile il comportamento atteso (“poter fare”), si devono segnalare, innanzitutto, quelle condizioni che oggi lo impediscono o, almeno, lo rendono più difficoltoso. Si è detto degli spazi lasciati dal quadro istituzionale all’autonomia comunale. A tale condizione se ne possono aggiungere altre.
Ad esempio:
• un elettorato che tende a chiamare a responsabilità il municipale sulle “cose piccole” (la
lampadina del lampione fulminata, il marciapiede non pulito, ecc.) piuttosto che sulle “cose
grandi” (la costruzione di personalità dei bambini, il modo di vivere la “quarta età” nella
comunità, ecc.);
• la “pressione dell’urgenza”, che rende più difficile trovare tempo e spazio per riflessioni di
più alto respiro.
Altrettanto importante è il “saper fare”. Per prendere decisioni strategiche serve soprattutto una piena consapevolezza di quali esse siano. Si ha l’impressione che la concentrazione su scelte operative sia anche determinata dalla non piena comprensione di quali altri decisioni sarebbero opportunamente di competenza dei municipali. Si tratta, insomma, prima di tutto di condividere che cosa si intende per “politica pubblica”.
Allo stesso tempo, prendere decisioni strategiche implica una capacità di visione di lungo periodo, il saper identificare obiettivi rispetto alla società locale, a come evolveranno i rapporti. In ultima analisi, si tratta di porre al centro dell’attenzione i valori che si vogliono vedere diffusi nella comunità, dimostrati dai comportamenti prevalenti. Questo significa che il municipale non sarebbe chiamato a sviluppare una competenza tecnica, ad esempio rispetto a come funziona un
acquedotto, ma a dimostrare capacità di astrazione e di previsione. E’ l’idea platonica del governo dei filosofi.
Infine, c’è da considerare la motivazione ad interpretare un ruolo più strategico da parte dei
municipali e dei consiglieri comunali. Una motivazione di tipo utilitaristico porterebbe a concentrarsi su decisioni che portano risultati visibili e immediatamente spendibili: è grazie a questo tipo di risultati che si hanno più chance di guadagnare quella reputazione utile anche ad ottenere una rielezione. Una motivazione ideale, più legata al desiderio di indirizzare la comunità verso nuovi modi di vivere insieme, potrebbe meglio sostenere una focalizzazione sulle decisioni che hanno un impatto di lungo periodo. E’ lecito chiedersi se persone spinte da una tale motivazione ideale sarebbero poi apprezzata dall’elettorato.
“Saper fare” e “voler fare” sono strettamente correlati alla cultura politico–amministrativa
prevalente in un dato momento storico. L’azione di riforma che se ne intenda far carico non può che ambire a far prevalere nella cultura locale nuovi modelli, nuovi “eroi”, nuove storie di successo.
Occorre far emergere l’ideal–tipo del “politico–saggio” rispetto a quello del “politico–manager”. E’ auspicabile? Se sì, è fattibile?
Per concludere
Dalla riflessione, dunque, emergono molte più domande che risposte.
1) Che cosa si intende per funzione politica? Può essere intesa come “la presa di decisioni che riguardano la comunità”?
Rispetto al processo decisionale:
2) Come interpretiamo il processo di “presa di decisioni”? Quale parte del processo spetta agli organi politici? Quali pezzi sarebbero meglio assunti da altri soggetti?
3) Chi definisce le priorità politiche in un certo momento storico?
4) Se assumessimo che il ruolo decisionale degli organi politici consiste, in ultima analisi, nella scelta tra alternative d’azione, a chi spetta il compito di metterle a punto, cioè di strutturare le priorità politiche in progetti con un sufficiente grado di approfondimento?
5) Quale supporto potrebbe venire dall’amministrazione comunale, dal cantone, dai partiti, dai centri di competenza per sostenere con le indispensabili competenze specialistiche il
processo decisionale?
6) Come è opportuno che vengano prese le decisioni in un organo collegiale?
Rispetto al contenuto delle decisioni:
7) Quali sono gli ambiti di decisione che si ritengono più opportuni per gli organi comunali? Di quale livello dovrebbero essere: decisioni “operative” o decisioni “strategiche”? Quali
decisioni si possono definire “strategiche”?
8) Quali condizioni frenano il poter prendere decisioni strategiche? Quali saperi devono
possedere i decisori? Quali motivazioni li dovrebbero portare a concentrarsi su quelle decisioni e non su altre?