Paesaggio: un linguaggio da reimparare
Bellinzona – Come possiamo valutare il paesaggio? Che cosa è il paesaggio? Sono queste alcune delle domande a cui hanno provato a rispondere la Professoressa Luisa Bonesio, associata di Estetica presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Pavia, e Paolo Poggiati, Capo della Sezione dello sviluppo territoriale, ospiti del Primo Colloquio di pianificazione del territorio organizzato dall’ASPAN Ticino in collaborazione con il CFEL lo scorso 16 gennaio.
E’ stato innanzitutto ripercorsa l’evoluzione storica del concetto stesso di “paesaggio”. La parola fa la sua comparsa nell’ambito della pittura: sono i quadri che ritraggono scorci e vedute aperte sull’ambiente che suggeriscono di vedere il paesaggio come una forma artistica. E proprio quei quadri stimoleranno i Romantici del Gran Tour ad andare a cercare “sul posto” quei paesaggi reali che avevano visti rappresentati su tela. Il modello, dunque, per leggere la realtà era fornito dalla pittura. Il paesaggio era già da allora una costruzione culturale che dalla mente degli osservatori cercava conferme nel dato reale.
Con la Convenzione europea del paesaggio c’è un cambio di paradigma. Pur continuando ad intendersi il paesaggio come costruzione culturale, esso non viene più solamente visto come un’immagine esteticamente piacevole, su cui esprimere semplicemente un gusto (mi piace, non mi piace). Viene definito come il contesto di vita delle popolazioni, un contesto che fornisce appigli essenziali per definire l’identità delle comunità.
E così, il paesaggio diventa un linguaggio complesso di forme che racconta l’identità di una comunità, i suoi valori e la sua storia.
Il rapporto con la comunità è dunque strettissimo. La stessa Convenzione del paesaggio nasce come risposta alle lamentele dei cittadini che si trovano a dover subire interventi calati dall’alto sul proprio paesaggio quotidiano . Interventi che spesso provocano una progressiva banalizzazione, cioè la perdita di quelle specificità che rendono unico ogni contesto e che rischiano di essere cancellate da interventi edilizi “globalizzati”.
Certo il rapporto tra comunità e paesaggio è cambiato. Con la fine della società prevalentemente agricola, è venuto meno quel contatto diretto e quotidiano tipico di chi lavora la terra. E’ iniziato una sorta di “analfabetismo di ritorno” rispetto al linguaggio del paesaggio.
Riappropriarsi di questo linguaggio significa oggi ritrovare la capacità di leggere il paesaggio andando oltre i giudizi “bello” o “brutto” e re-imparando a comprendere i messaggi rispetto all’identità locale che interventi urbanistici ed edilizi possono trasmettere. Riappropriarsi di questo linguaggio è condizione per poter impostare nuove azioni di pianificazione, capaci di far propri metodi partecipativi in grado di coinvolgere i cittadini nel “pennellare” quella che, a tutti gli effetti, è la più grande opera d’arte corale.
Molti degli spunti lanciati dalla Professoressa Bonesio sono stati ripresi dall’Arch. Poggiati che, dal suo osservatorio privilegiato, ha potuto declinarli rispetto alla situazione del Canton Ticino. In particolare, ha sollevato il problema delle politiche settoriali: non è la pianificazione urbanistica la sola via per intervenire sul paesaggio. Peso importantissimo (e a volte trascurato) lo hanno la politica agricola, la politica energetica, i provvedimenti relativi alla regolamentazione delle acque, ecc. Ha ribadito l’importanza di avere confini istituzionali coerenti con la struttura topografica del territorio, richiamando il tema delle aggregazioni comunali. Ha rilanciato il grido d’allarme rispetto all’impoverimento dello spazio costruito a cui quotidianamente assistiamo.
L’auspicio è che si ritorni, come in epoca medioevale, a quella competizione virtuosa tra le città che le spingeva ad adoperarsi per crescere e superare le altre in bellezza, funzionalità, qualità artistica. Forse che ci sia ancora spazio per pensare alla città ideale?
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